Natale 2023

Il mio Natale meraviglioso!

di Stefania Conte

Abitavo nel sestiere di Cannaregio, in una casa raggiungibile dopo aver voltato a sinistra all’altezza del ponte delle Guglie.
Anche a Venezia arrivava puntualmente la vigilia di Natale e per me, cresciuta a pasta e fagioli e fiabe, anche quando avevo undici anni era ancora una certezza l’arrivo dell’omone vestito di rosso, seduto sulla slitta trainata dalle renne.

Ricordi Paolino

Con l’uso della logica infantile ero riuscita a far coesistere il credere che Babbo Natale, pur arrivando dal Circolo Polare Artico, abitasse anche poco distante da casa mia.

Me l’aveva detto mio padre, durante una delle passeggiate dopo essere sbucati in Fondamenta Cannaregio, uscendo da calle del Spezer.
«Guarda bene davanti a te, oltre l’acqua del canale», disse.
Mi indicò, in fondamenta Venier, una deliziosa casa a tre piani con un tetto spiovente; s’era fatta costruire fra i magnifici e bianchi palazzi in pietra d’Istria Savorgnan e Venier-Manfrin.
«Cosa devo vedere, babbo?», chiesi.
Puntai prima lo sguardo a terra, dove l’acqua alta prodotta dalla marea di novembre era tracimata dal canale, lasciando i miei piedi a mollo.
«In quella casa abita Babbo Natale», rivelò senza esitazione.
Lo disse sottovoce, come piace ai bambini, bisbigliandomelo all’orecchio.
Strabuzzai gli occhi colma di gioia e di meraviglia, notando, attraverso i vetri di una delle quattro finestre a loggia del primo piano, un signore in avanti nell’età che si lisciava la barba.
Da quel giorno – avevo suppergiù cinque anni – non misi mai in dubbio il fatto che la casa tinteggiata di rosso pompeiano fosse la dimora di colui che portava a tutti i bambini buoni i regali e le speranze.
Il tempo passò e, a un mese dal compiere undici anni, ancora albergava nella mia piccola anima la gioia dell’attesa dei regali portati da Babbo Natale.
A dire il vero non lo avevo più rivisto in quella casa, ma il palazzetto era sempre abitato, e le mie narici si lasciavano irretire dal profumo del pane speziato che usciva dalla vicina pasticceria, convincendomi, anno dopo anno, che fosse Natalina, la moglie di Babbo Natale, a socchiudere la finestra in cucina per allertare i bambini che le feste erano pronte ad arrivare.
La sera di quel 24 dicembre, l’attesa Vigilia, io e i miei fratelli ci ritirammo in camera da letto.
La casa possedeva delle finestre costruite in modo tale che, fra i battenti della stessa e gli oscuranti in legno, ci fosse uno spazio d’una ventina di centimetri di profondità, una sorta di davanzale su cui, nella bella stagione, appoggiavo bambole e giocattoli.
Assieme, guardavamo il cielo azzurro e i gabbiani bianchi.
Per quella sera speciale, lo spazio delle due finestre era stato da me tirato a lucido, perché là Babbo Natale avrebbe depositato i regali per me e per i miei fratelli.
Nostro padre, solo quella sera, per tradizione lasciava gli scuri aperti.
«Li lascio spalancati, in modo che possa vedere la candela lasciata accesa per lui. Non vorrei si dimenticasse di voi o si sbagliasse, scambiando i regali riservati a voi con quelli dei bambini Battain, che abitano al piano di sopra».
Noi tre lo ascoltavamo senza fiatare, covando la speranza che i regali fossero proprio quelli che avevamo scritto nella letterina dei desideri.
Da sotto le coperte cercavo di vedere la scia luminosa lasciata dagli zoccoli delle renne. Nessuno di noi fiatava, sperando di sentire il magico Oh! Oh! Oh! che avvisava del Suo arrivo.
Negli anni precedenti non ero riuscita a resistere al sonno e mi ero addormentata. Al mattino ci alzavamo dal letto e, scorgendo sull’intercapedine le scatole agghindate con carte variopinte e fiocchi colorati, urlavamo di gioia.
Ma quella notte, complice il freddo pungente e un’ipotesi che covava in me da molto tempo, mi svegliai.
Babbo Natale era in piedi nella stanza. Mi dava le spalle e non si accorse di me: mi ero seduta sul letto a osservarlo, mentre accomodava i regali.
Era meno alto dei due metri raccontati, nemmeno era così corpulento e di rosso vestito.
Indossava dei pantaloni di velluto di mia conoscenza e un maglione verde di lana, rammendato sul gomito.
Prese le letterine indirizzate a lui e chiuse velocemente la finestra, nel timore che i suoi figli s’infreddolissero e lo scoprissero con le mani nel sacco… vuoto.
Quando si voltò per uscire, in punta di piedi saltai giù dal letto e abbracciai mio padre.
Devo a lui il mio immutabile amore per il Natale e la fede nel meraviglioso.

 

Stefania Conte, Natale 2023