Natale 2023

La macchina da scrivere

di Paolo Morganti

Era la vigilia di Natale, io avevo 10 anni e una manciata di mesi.
A quell’epoca abitavo a Verona, e nella città scaligera i regali non li porta Babbo Natale, bensì santa Lucia, durante la notte tra il 12 e il 13 dicembre.
Non chiedetemi perché, non l’ho mai capito.
Questa anomalia faceva sì che noi bambini veronesi potessimo godere della gioia per i regali prima di tutti i bambini del resto d’Italia, anche se a Natale rimanevamo a bocca asciutta.
Pertanto, il giorno dopo non mi aspettavo nulla di particolare, se non il tradizionale e pantagruelico pranzo con il numeroso parentado.
Una quarantina di persone.

Un delirio!

La mattina dopo saremmo partiti per Lendinara, nel Polesine, dove vivevano i nonni materni e dove, insieme a numerosi zii e a una frotta di chiassosi cugini, avremmo mangiato come ogni anno i tortellini artigianali in brodo fatti venire appositamente da Bologna, lo zampone certificato di Modena con la cotenna leccorniosa, le lenticchie umbre di Castelluccio, la purea di patate dell’Altopiano di Asiago, il bollito misto dove “non deve assolutamente mancare la testina” e il panettone Motta quello vero con i canditi, accompagnato da mostarda di Cremona e mascarpone.
Oltre a una moltitudine di antipasti, di salumi, di contorni, di salse, di dolcetti vari e di “ricordi quell’anno che…”
Ma sto divagando.

Dieci giorni prima avevo ricevuto in regalo una decina di libri e un microscopio, oltre al solito piatto con torrone, croccante, pastafrolle, frutta secca, caramelle gommose etc etc.
Ovviamente tutto ciò non l’aveva portato santa Lucia, alla storiella della santa sul somarello avevo cominciato a non credere già qualche anno prima: il distributore occulto di doni era mio padre, ne ero più che certo.
Per Natale, da buon bulimico gastro-culturale, avevo già letti tutti i libri e mi ero già mangiato tutti i dolci.
Come mia abitudine, spesso leggevo di notte con la pila sotto le coperte.
Quella sera di Vigilia ero alle prese con Sandokan alla riscossa, di Emilio Salgari.
Dormivo in camera con mio fratello, il quale stolidamente non condivideva la mia passione per la lettura e protestava se leggevo con la luce accesa.
Leggevo dai 7 ai 10 libri alla settimana e mi piaceva molto scrivere.
Sui quaderni della Pigna annotavo le mie impressioni sui volumi letti e diligentemente ricopiavo le prime 10 righe di ognuno di essi.
Avevo un ripiano della mia libreria personale con tutti i quaderni allineati come soldatini.
Verso mezzanotte, mentre Sandokan e i suoi fedeli e feroci tigrotti veleggiavano con i loro prao sui mari agitati della Malesia, sentii un rumore sospetto provenire dalla cucina.
Pensai di essermi sbagliato, ma qualche minuto dopo questo si ripeté.
Mi alzai con cautela e, con la pila, andai a sincerarmi di cosa stesse succedendo.
Dormivano tutti, lo capii dal russare tranquillo che proveniva dai vari letti.
Mi avvicinai con cautela alla cucina. La luce era accesa e, quando entrai, rimasi a bocca aperta.
Seduto al tavolo c’era un uomo corpulento, dalla lunga barba bianca e vestito di rosso dalla testa ai piedi, che stava bevendo una tazza di latte caldo e mangiando una fetta della stupenda torta di mandorle e cedrini fatta da mia madre.
«Oh, ciao Paolo!», mi salutò allegro, bofonchiando a bocca piena.
«Chi… chi sei?», chiesi balbettante. «E cosa fai con la mia torta?»
«Secondo te?»
Mi chiusi la porta alle spalle e mi sedetti davanti a lui, scrutandolo con sospetto.
«Se non fosse che non ci credo, oltre al fatto che stai mangiando la mia torta, direi Babbo Natale. Ma sappiamo entrambi che questa è una favoletta per i bambini».
«Perché, tu non sei un bambino?»
Sbuffai.
«Cosa c’entra, io non sono come gli altri».
«Ah no? Cos’avresti, di diverso?»
«Beh, io leggo molto, e leggere fa crescere in consapevolezza».
«Consapevolezza? Non è esattamente una parola da bambini…»
Feci una smorfia.
«Te l’ho detto, Babbo o quello che sei, non chiamarmi bambino
«Oh, scusa… Dimmi, però, quando avrai dieci anni di più, o trenta, cosa sarai?»
Alzai le spalle.
«Quello che sono adesso: Paolo Morganti. Con più libri letti, naturalmente».
«Perché lo fai? Leggere, intendo».
«Mi piace. Poi mi dà modo di capire il punto di vista degli altri, faccio i confronti, mi creo una mia opinione e imparo l’italiano. Così posso scrivere corretto. Congiuntivi compresi».
L’ospite bevve l’ultimo sorso di latte e mi fissò.
«Hai mai pensato di scrivere un libro anche tu, da grande?», mi chiese.
Riflettei.
«In effetti no. Del resto, sono ancora un bamb…»
Mi morsi la lingua e mi zittii, mentre sul viso dell’allucinazione vestita di rosso compariva una risatina sarcastica.
«Ti sei tradito… Comunque pensaci, quando sarai più grandicello. Secondo me, potresti davvero fare lo scrittore».
Alzai le spalle.
«Non credo, mi piace troppo leggere quello che scrivono gli altri».
Mi accarezzò la testa e si alzò.
«Vedremo. Ora ti saluto, ho molto da fare, questa notte. Ci si vede, eh?»
Detto questo, aprì la porta della cucina e uscì velocemente nel corridoio.
Dopo un attimo di esitazione, gli corsi dietro.
Inutilmente: era scomparso.
Mi tagliai una fetta di torta, tornai pensieroso a letto e mi misi a dormire.
Quando la mattina dopo mi svegliai, corsi in cucina per fare la colazione.
Uova strapazzate e fette biscottate con burro e marmellata d’arance amare.
«Sai mamma, ho sognato Babbo Natale, stanotte…»
I miei genitori si guardarono e, sorridendo, mi indicarono un pacco sul tavolo.
«È per me?», chiesi.
«Sì. L’abbiamo trovato qui. C’è il tuo nome, sopra».
L’aprii incuriosito e rimasi a bocca aperta: era una macchina da scrivere Olivetti!
Aprii il biglietto.
“Paolo, ricordati che, nonostante le tue resistenze, sei comunque un bambino, e devi sperare di rimanere tale tutta la vita, dentro di te. Magari un po’ meno rompiscatole e meno saccente di come sei oggi… Però, dato che inevitabilmente crescerai, vedi di mettere a frutto le tue letture. Chissà, un giorno potresti davvero scrivere un libro anche tu. Buon Natale da quello che non esiste”.

Sono passati alcuni decenni, da allora.
In effetti, di libri ne ho pubblicati una ventina.
Beh, li ho scritti con il Mac, ovviamente…
Ma la mia macchina da scrivere Olivetti è sempre qui, sulla scrivania, accanto al computer.
A chi mi chiede spiegazioni sulla sua presenza iconica, dico che a regalarmela è stato mio padre.
E forse è così.
In fondo, sanno tutti che Babbo Natale non esiste…

 

Paolo Morganti, Natale 2023

Macchina da scrivere Morganti