Natale 2023

Il mio Natale meraviglioso!

di Paolo Morganti

Toc toc toc
Quella mattina pre’ Michele fu svegliato da quello che, nel sonno, gli parve qualcosa di simile a un timido bussare alla porta della canonica.

Pensò di essersi sbagliato, perché quando aprì gli occhi e si mise in ascolto non avvertì più nulla.
Aveva sicuramente sognato. Forse non avrebbe dovuto mangiare le verze con i piedini di maiale, la sera prima, sapeva quanto possano essere pesanti a cena.
Sbuffando si girò dall’altra parte, ma nello stesso istante il suono si ripeté.

Ricordi Paolino

Toc toc toc

No, questa volta era sicuramente sveglio, per cui non poteva aver sognato.
Si alzò stiracchiandosi e si coprì subito con il pesante scialle di lana che aveva depositato sulla sedia accanto al letto.
C’era freddissimo, e nella stanza il fuoco si stava spegnendo nel camino.
Era la notte di Natale, e già da alcune settimane la neve aveva coperto tutta la Carnia, imbiancando le cime, i boschi e i villaggi.
C’era una piccola brace a brillare nel camino, per cui avvicinò lo stoppino della candela per accenderla.
Sbadigliando ciabattò fino all’ingresso, stringendosi nello scialle.
Aprì la porta con cautela. Non si poteva mai sapere chi girava di notte.
Fuori stava nevicando e il buio avvolgeva ancora ogni cosa, ma tutto ciò non gli impedì di vedere chi sulla soglia lo stava guardando dal basso in alto.
Era una bambina bionda a piedi nudi. Stringeva nelle mani un mazzetto di legnetti bianchi e lunghi, che avevano all’estremità una specie di grumo scuro.
Pre’ Michele la guardò a bocca aperta.
«Piccola, ma che ci fai tu, qui fuori? Su, entra, non vorrai morirmi dal freddo! Signore benedetto, cosa mi tocca vedere!»
La prese per mano e la trascinò velocemente all’interno.
«Su, vieni qui vicino al camino, adesso proviamo a riaccendere il fuoco per scaldarti. Poi ti preparo del latte caldo».
«Ci penso io, padre, non preoccupatevi».
La bimbetta prese da una cesta alcuni legnetti e della paglia, li mise tra gli alari e poi sfregò su una scatoletta uno di quegli strani legnetti che aveva in mano. Questo si accese come per magia.
Subito dopo avvicinò la fiamma scaturita alla paglia e questa prese fuoco.
Il prete era rimasto con gli occhi spalancati e la bocca aperta, non riuscendo a spiaccicare parola.
«Ecco fatto, pre’ Michele, ora potete scaldarmi il latte».
«Chi sei tu, come ti chiami? Come mai conosci il mio nome? Perché sei qui?»
La bambina alzò le spalle e rispose solo parzialmente alla serie di domande.
«Il mio nome è Caterina».
«Ciao, Caterina. Dimmi, cosa sono quei legnetti che hai in mano?», balbettò il pievano, puntando l’indice su quanto lei teneva in mano.
«Sono fiammiferi».
«Fi… ammiferi? Capisco… No, non capisco affatto: cosa sono? Dove li hai trovati? Perché si sono accesi?»
«l fiammiferi sono stati inventati da un certo John Walker nel 1827 e perfezionati dal chimico francese Charles Sauria nel 1831. È stato però nel 1836 l’ungherese János Irinry, al tempo studente di chimica, a creare dei fiammiferi capaci di accendersi. Egli vendette l’invenzione a un certo Istvan Rómer. Rómer, un ricco farmacista ungherese che viveva a Vienna. Lui comprò dallo studente l’invenzione e i diritti di produzione per 60 fiorini. Grazie a quest’affare, Rómer divenne ancora più ricco producendo e vendendo fiammiferi, mentre lo studente morì povero e abbandonato».
Pre’ Michele si avvicinò velocemente a una sedia e vi ci si buttò sopra a peso morto.
Deglutì a fatica e guardò la bambina.
«Chi sei, tu, che vieni a svegliarmi per raccontarmi queste cose senza senso? Siamo nel 1534, come puoi parlarmi di cose che dici essere avvenute tra trecento anni? Non si può viaggiare nel futuro! Basta, non mangerò più piedini di porco, alla sera. D’ora in poi, mi nutrirò solo con minestra di rape e zuppa di verdure…»
La bambina sorrise e, avvicinatasi a lui, gli prese la mano.
«Rilassati, stavo solo prendendoti in giro. Piuttosto, non dovevi prepararmi del latte caldo?»
«Certo, certo, te lo scaldo subito. Sei spiritosa tu! Pensa, ragazzina, per un attimo avevo quasi creduto alle tue parole…»
Sorrise, pur non essendo del tutto convinto di quanto aveva appena detto.
«Sarà l’aria del Natale, in questi giorni siamo più portati a credere a tutto…», ribatté lei, guardandolo con un sorrisetto ironico e la testa piegata di lato.
«Già, sarà così», convenne annuendo il prete. «Ci vuoi del miele, nel latte?»
«Non avreste della cannella, invece? La trovo più natalizia».
«Cannella? Mhm, sì certo…»
Cercò nella dispensa e ne trovò un po’, data ad Agnese dal suo amico speziale, Martino da Madrisio.
«Ecco, tieni!», le disse, porgendole la tazza dopo aver scaldato il latte sul fuoco.
Lei la prese dalle sue mani con un sorriso e la vuotò in un fiato.
«Molto, molto meglio adesso», convenne seria.
Aveva un baffo di latte sotto il nasino.
Michele annuì.
«Senti, facciamo così. Ho capito che non hai voglia di dirmi chi sei. Ne parleremo con calma più tardi. Ora tu vai a dormire nel letto della mia perpetua, Agnese, che in questi giorni non c’è perché è andata a trovare alcuni parenti di Enemonzo per Natale. Domani io sono invitato a pranzo da Martino e Mèliga, i miei più cari amici. Penso che se verrai anche tu non avranno niente da dire. Cosa ne pensi?»
«Penso che verrò volentieri a questo pranzo. Mi è sempre piaciuto festeggiare il Natale».
«Perfetto! Adesso seguimi, ti mostro la stanza di Agnese».
Poco dopo, Michele si rimise sotto le coperte.
Si addormentò subito.

 Quando qualche ora dopo si svegliò, entrando in cucina trovò Caterina ad aspettarlo vicino al camino.
Il fuoco tra gli alari era vivace e la legna scoppiettava allegramente, rischiarando la stanza.
Scosse la testa, preferendo non chiedersi come avesse fatto la bambina ad accenderlo.
Bevvero entrambi una tazza di latte, accompagnandolo con una fetta di focaccia con i pinoli, preparata da Agnese prima di partire.
Pre’ Michele prese la bambina per mano e si recò con lei nella vicina pieve di Castoia, dove celebrò la Messa di Natale, circondato dai suoi parrocchiani.
Per lui era il momento più bello dell’anno, la nascita di Gesù Bambino.
Alla fine gli si avvicinarono tutti per fargli gli auguri e per consegnargli qualche regalo, che lui apprezzò tantissimo.
Si fece aiutare da Caterina per portare a casa un paio di ceste colme di formaggi, di salami, di dolci, di grappa e di frutta secca.
Depositati i regali in canonica, i due si avviarono sotto la neve verso la casa di Martino e Mèliga.
Li aveva già visti in chiesa, ma non si era soffermato con loro, considerato che li avrebbe visti di lì a poco.
Quando entrò nella cucina degli amici, li guardò con felicità
Insieme a Martino e alla moglie Mèliga vide il loro figlioletto, Francesco, e poi Giordana, la sorella di Martino insieme a Math, il suo nuovo fidanzato. C’erano anche il priore dell’hospitale di Majano, Riccardo Memling, e Anna e la figlioletta Teòfila, conosciute recentemente nel corso di un’avventura che l’aveva portato in giro per il Friuli.
Quando entrarono, Caterina si avvicinò a Francesco e lo guardò fisso negli occhi.
«Ciao, Francesco», gli disse.
«Ciao, Caterina», rispose lui.
I presenti li guardarono attoniti.
«Ehm, vi conoscete voi due?», chiese Martino, che non capiva cosa stesse succedendo.
Non aveva mai visto quella strana bambina. Abituato alle stranezze, si disse che stava per succedere qualcosa.
«No», rispose il figlio, interrompendo il corso dei suoi pensieri e sedendosi a tavola senza dare spiegazioni.
Gli altri non dissero nulla e, dopo un attimo di esitazione, si accomodarono a loro volta.
«Questa è Caterina, come avete capito», disse il pievano, per rompere l’imbarazzo. «Lei è… Beh, è una bambina, come potete vedere con i vostri occhi. Mi sono permesso d’invitarla. Non aveva impegni, per oggi».
«Avete fatto benissimo, pre’ Michele», disse Mèliga, sorridendo. «Vieni Caterina, accomodati qui, vicino a Francesco e a Giulia, ora ti preparo un piatto».
Il sentimento che aleggiava nella stanza era la sospensione d’incredulità.
Tutti fecero buon viso a cattivo gioco e festeggiarono il Natale come si conviene da tradizione.
Mangiarono salami e formaggi, e uno stupendo arrosto di maiale, che Mèliga mise a cuocere nell’athanor di Martino, con raccapriccio del marito.
Alla fine tutti si dilettarono in chiacchiere, aspettando che la bambina si decidesse a raccontare chi era.
A un certo punto gli sguardi dei presenti si puntarono su di lei, e tutti rimasero in silenziosa attesa.
Lei regalò loro un sorriso meraviglioso e parlò.
«Ora devo andare. Grazie a tutti, è stato un Natale bellissimo, non vi dimenticherò».
Detto questo, senza dare tempo a nessuno di ribattere, Caterina si avvicinò alla porta, l’aprì e uscì velocemente, chiudendosela alle spalle.
«Ma… dove sta andando, con questo freddo?», esclamò dopo un attimo di sbigottimento Michele, alzandosi e correndole dietro.
«Padre, non la troverete», disse con calma Francesco, scuotendo la testa.
Il prete non l’ascoltò e, dopo avergli lanciato un’occhiata perplessa, uscì a sua volta.
Rimase a bocca aperta in mezzo alla strada deserta.
Corse nelle vie laterali di Nonta, chiamando Caterina a gran voce.
Niente, la bambina era letteralmente scomparsa nel nulla.
Sgomento, rientrò in casa.
Tutti lo guardarono.
«Non c’è più, è scomparsa», mormorò disperato.
«Padre, ve l’avevo detto, voi non mi ascoltate mai. Caterina non è di questo mondo. O almeno, non lo è più».
«Cosa stai dicendo?», gli chiese il padre, aggrottando la fronte.
«Lei non è di questo mondo, è un’entità che viaggia nel tempo, per mettere alla prova la bontà o la cattiveria delle persone. Nei secoli appare e scompare, come una cometa, ma nessuno sa da dove viene e dove andrà. È conosciuta come la Piccola Fiammiferaia, perché in lei c’è una fiamma che non si spegne mai. Quando accende i suoi bastoncini, riesce a vedere alla sua luce fioca le persone che sono state buone con lei. Questo le impedisce di morire di freddo nella notte, perché lei gira solo di notte».
Nessuno commentò quelle parole.
Michele tornò a casa, chiedendosi se aveva sognato.
Ora forse si sarebbe svegliato e avrebbe rivissuto la giornata di Natale, senza Caterina ma con le certezze della sua vita.
Sperò solo che Mèliga avesse fatto davvero un arrosto buono come quello del sogno.
Entrò in cucina. C’era freddo, per cui si avvicinò al camino per accenderlo.
Sulla pietra vide alcuni legnetti con una strana capocchia scura.
«I fiammiferi», mormorò con un sorriso. «Grazie, Signore, tu riesci sempre a sorprendermi».
Prese un fiammifero, lo sfregò sulla pietra e questo si accese. Lo avvicinò alla paglia che prese fuoco.
Guardò fuori dalla porta: nel cielo c’era una stella splendente che non aveva mai visto prima.
Rientrò e si sedette vicino al camino con il breviario.
Prima di mettersi a leggerlo, si fece il segno della croce, e ringraziò Dio.
«Padre nostro, che sei nei cieli…»

 

racconto con pre’ Michele Soravìto, Natale 2023